Il kite con l’hydrofoil dopo un inizio stentato e difficile è finalmente diventato una disciplina accessibile a tutti e si sta diffondendo a macchia d’olio in tutto il mondo. Grandi prestazioni e possibilità di uscire anche con venti leggerissimi, i suoi principali vantaggi ma anche un feeling completamente diverso con la planata e il riding. Ci siamo fatti raccontare le prime impressioni da chi lo ha provato per caso e oggi ne è entusiasta.

 Qualche anno fa al primo apparire del kitefoil la tribù dei rider in tutto il mondo ha semplicemente storto il naso. Quell’attrezzatura avveniristica, ingombrante, completamente misteriosa, non poteva che infondere un certo timore reverenziale e veniva liquidata come un giocattolo hi-tech dal futuro incerto. Certo l’idea di staccarsi con la tavola a pelo d’acqua grazie a delle appendici alari e planare a mezz’aria a velocità supersoniche incuriosiva. E qualche kiter coraggioso non esitava a provare. Erano soprattutto atleti del circuito Race attratti da quelle incredibili prestazioni oppure semplici rider con il gusto della novità. Quello che però non sapevano era che provare a domare quella tavola imbizzarrita come un giovane puledro all’inizio non era affatto facile. Era come ripartire da zero perché la concezione del riding era completamente diversa da quella fino ad allora conosciuta: differenti condizioni, assetto del corpo diverso, feeling e sensazioni nuove. Soprattutto prevaleva la paura non solo dell’altezza sull’acqua, visto che si utilizzavano piantoni lunghi, ma soprattutto il rischio di schiantarsi e nelle cadute colpire con il corpo e essere colpiti da quelle lame sott’acqua capaci di affettarti come burro.

Gli incidenti erano all’ordine del giorno e alla fine prevaleva la frustrazione di non riuscire a padroneggiare quel nuovo complicatissimo gioco. Raccontava recentemente Roberto Ricci, patron del celebre brand RRD, di essere stato immediatamente attratto dal kitefoil e dalle sue nuove possibilità di espressione. Entusiasmo e curiosità immediatamente crollate però dopo i primi tentativi di utilizzarlo conclusisi con un incidente abbastanza grave che lo ha tenuto lontano dall’acqua per tre mesi. C’era qualcosa che non andava ed era proprio l’attrezzatura.

All’inizio un apprendistato da leoni

Utilizzare da subito il piantone lungo 90 centimetri era troppo difficile, una sorta di cancello sprangato alla diffusione della disciplina. Solo con un lungo apprendistato, grande motivazione, ore e ore spese in acqua e rischio di incidenti gravi, si portava a casa quel nuovo tipo di riding e chi non superava queste prove in breve tempo se ne tornava con la coda bassa al twintip o al surfino. Una vera disdetta per le Factory che avevano da subito investito in questa disciplina, ma anche per l’intero movimento che stentava a decollare.

Poi è arrivata la rivoluzione. Un sistema di piantoni di lunghezza progressiva per facilitare l’apprendimento e renderlo finalmente accessibile a tutti. Oggi tutti i brand hanno in catalogo tavole per hydrofoil con piantoni da 40, 65 e 90 centimetri. Si parte con il piantone più corto che evita l’altezza impegnativa e permette di prendere confidenza con il lift. Poi una volta padroneggiata la tecnica e il nuopo assetto del corpo si passa al piantone di media lunghezza con il quale s’imparano i cambi di direzione. Solo alla fine si passa al piantone lungo per godere delle prestazioni ottimali dell’hydrofoil. Bingo! Il cancello è stato aperto e oggi qualunque rider con un po’ di esperienza può fare suo il kitefoil con un godimento senza eguali e soprattutto con la possibilità di navigare e allenarsi in condizioni di vento leggero. Ma è davvero così facile imparare? Vogliamo raccontarvi l’esperienza di un rider normale, come ce ne sono tanti, che dopo un primo momento di scetticismo è stato convinto a provare questa nuova esperienza. Si chiama Albero Cocchi e fa parte della comunità di rider che ruota attorno al Kau Kau Club, centro di sport acquatici che ha sede a Fiumaretta (Sp) e che permette di provare l’hydrofoil gratuitamente. Gli abbiamo rivolto qualche domanda per sapere come ha vissuto il suo ingresso nel mondo dell’hydrofoil. Sentite cosa ci ha raccontato.

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– Alberto descrivi brevemente la tua esperienza nel kitesurf e il tuo livello di riding…

Facendo due conti, è da 14 anni che stendo delle linee in spiaggia. Ho iniziato come tanti cercando spot termici con vento divertente tra i 15 e i 20 nodi ed acqua piatta per impostare i primi trick fino ad arrivare a oggi dove prediligo uscite Wave piuttosto estreme con il mio surfino North Pro Series CSC strapless.

– Che cosa ti ha spinto a provare l’Hydrofoil?

Inizialmente snobbavo chi ne parlava. Avendo una visione più evoluta del kitesurf e una vera ammirazione per l’estremo, il ritorno al vento diciamo “turistico” non mi attirava proprio. Poi un giorno mi è arrivato un link di un video, dal mio amico e guida spirituale Maurizio Grassi, di un ragazzo di Maui (se non ricordo male) che gioca con un piccolo aquilone e danza sopra una piccola tavola strapless sollevata quasi un metro dall’acqua e sono rimasto impressionato! Sono passato al Kau Kau Shop sulla Variante a Sarzana dove ho trovato Paolo e Maurizio che stavano spacchettando dell’attrezzatura foil nuova fiammante Una tavola più bella dell’altra, RRD, Naish, North. Mi hanno dato appuntamento l’indomani per farmi provare e così è iniziata la mia avventura a pelo d’acqua.

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– Quando hai provato la prima volta che attrezzatura hai utilizzato? Raccontaci come è andata…

Dopo due dritte strategiche e un paio di raccomandazioni sulla sicurezza, siamo usciti in gommone. La giornata era tersa con acqua piatta e 10 nodi di vento, insomma uno di quei giorni in cui un kiter normale pensa “Oggi non si fa niente… impossibile planare”. Paolo ha preparato il North Mono da 12 metri e lo ha decollato. Incredibile stava su senza problemi! Mi sono buttato in mare, ho agganciato il chicken loop e ho pensato “Ok e ora?”. Maurizio mi ha passato una tavola RRD con il piantone corto (da 40 cm) nuova fiammante. Ho provato a partire, ma non riuscivo nemmeno a infilare il piede nelle straps! La tavola infatti era piuttosto voluminosa e tendeva a rimanere piatta sull’acqua. Avrei dovuto essere un abile contorsionista per infilare il piede. Allora ho cercato di capire come prenderla aiutandomi con la mano e dopo qualche tentativo ho finalmente provato la partenza mure a dritta impugnando la strap posteriore in modo da esercitare maggiore forza (dato che la pinna è proprio lì sotto) e ho pensato “O la va o la spacca!”. Tenevo il kite allo zenith e con la mano sinistra tenevo la strap posteriore, quindi ho infilato il piede sinistro, poi ho richiamato il kite a destra e contemporaneamente ho infilato il piede destra e via! Sono riuscito a partire! Andavo al lasco facendo navigare la tavola appoggiata nell’acqua come un normale surfino, ma sentivo una forza che spingeva la poppa della tavola verso l’alto, allora con tutta la forza che avevo ho spinto la gamba anteriore per tenerla a bada.

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– Puoi descrivere le sensazioni che si provano fin dalla prima waterstart e quello che hai capito fino a ora?

Con vento leggero l’importante è che il kite rimanga su senza problemi. Certo, bisogna avere una certa confidenza e un buon feeling con il light wind e la trazione “leggera” dell’aquilone. La tavola aiuta molto grazie al suo volume generoso. Lo sforzo maggiore è far capire alla testa che non sei su una tavola bidirezionale o su un surfino e che il peso deve spostarsi in avanti. Quando ho provato la prima volta mi sono sforzato di portare avanti la testa, i glutei, la spalla, movimenti che a me sembravano esasperati e che invece all’esterno non si notavano nemmeno. Insomma bisogna riprogrammarsi un pochino, ma la prima impressione è buona. Dopo una decina di minuti di tentativi falliti, mi sono concentrato e ho riprovato deciso. Ho contato fino a tre e ripetuto la sequenza: piede sinistro nella strap posteriore, richiamo l’aquilone, piede destro dentro e sono partito! Piano piano ho cercato di far uscire la tavola alleggerendo il piede anteriore e come per magia è arrivato il silenzio, il volo, insomma una sensazione unica! Nel mentre ho sentito le urla di Maurizio e Paolo che mi incitavano dal gommone: “Grandeee!”. La sensazione è fantastica, si avverte subito come una sorta di tridimensionalità della sensibilità sulla tavola ed è una figata pazzesca!

– Come è stata la tua progressione in base all’utilizzo dei piantoni di differente lunghezza?

Come dicevo, all’inizio ho iniziato con attrezzatura hydrofoil RRD, tavola con strap e piantone da 40 centimetri. Dopo 2-3 uscite di circa un’ora ciascuna, ho provato la stessa tavola con il piantone da 90 centimetri e poi una tavola Naish con strap e piantone sempre da 90 centimetri. Per ora sono qui e inizio a pensare alle prime strambate. Spero di provare presto la tavola Naish strapless e la nuova North in arrivo. Vorrei aggiungere che passare dal piantone corto a quello lungo non è difficile. Si avverte solo un’energia più imponente nel manovrare la tavola durante la partenza e un spinta maggiore nel voler uscire dall’acqua. Sensazioni che si assimilano nel giro di una mezz’ora. Inoltre direi che la condizione ideale è quella in cui il vento è giusto per il kite ovvero non sottoinvelato in modo da non dover pensare a far volare l’aquilone senza farlo stallare e neanche troppo pieno perché in questo caso può aiutarci a stare in piedi e uscire dall’acqua, ma appena si vola il kite serve davvero a poco e se ci tira troppo va a finire che ci tira in avanti con conseguente tuffo di testa.

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– Quali sono secondo te i punti critici dell’apprendimento? Puoi dare qualche suggerimento a chi come te vuole provare questa esperienza di riding…

All’inizio devi capire come redistribuire i pesi del corpo sulla tavola. I primi 10 minuti servono per sperimentare quello che l’istruttore ti ha spiegato in teoria e per capire come gestire la tavola dato che ha ingombri e pesi diversi rispetto a un normale surfino. Proprio questo era un aspetto che mi spaventava parecchio. Gli istruttori mi hanno invitato a indossare il caschetto protettivo e un giubbino impact per una maggior sicurezza e credo che li indosserò sempre! Penso di essere davvero fortunato ad aver provato queste nuove emozioni e devo solo ringraziare Maurizio e Paolo che mi hanno dato questa possibilità. Credo che iniziare in mezzo al mare con l’istruttore che ti segue sul gommone d’appoggio sia il modo migliore per imparare perché ti permette di concentrarti senza aver timore della caduta dell’ala o della perdita della tavola. Il tutto in un contesto stupendo che è il promontorio di Montemarcello proprio davanti al Kau Kau Club con le cave di Carrara come sfondo e l’acqua blu! il mio obbiettivo? Mi accontento di fare come quello nel video! Scherzo, l’obiettivo è di divertirmi e di affinare la tecnica il prima possibile per continuare a godermi queste fantastiche sensazioni.

Insomma quando si è già dei rider evoluti come Alberto e magari si sta già cercando di progredire in una determinata disciplina, come nel suo caso il Wave Strapless, non è facile passare a qualcosa di completamente nuovo e diverso. A volte basta un video, però, oppure le persone giuste e la giusta attrezzatura per rompere il proprio guscio di certezze e tirare fuori la testa verso un mondo parallelo, enorme e affascinante, capace di regalarci nuove emozioni rigorosamente a pelo d’acqua.